Ogni persona che incontriamo lungo il viaggio della nostra vita ci regala sempre un’emozione, un insegnamento, o semplicemente ci rende persone migliori e più consapevoli. A volte incrociare le vite di altri aiuta a guardarsi davvero dentro e capire cosa vogliamo dalla vita, per cosa siamo nati, quali obiettivi vogliamo porci e che strada percorrere.
La storia che voglio raccontarvi riguarda un viaggio, anzi un cammino di cambiamento, che porta lontano. Ci porta in un continente spesso dimenticato che conosciamo soltanto attraverso notizie dei telegiornali, tragedie all’ordine del giorno e povertà vera.
Un tuffo nel passato
Era da tempo che seguivo il percorso intrapreso da Emanuele Pini, il mio caro professore di Latino alle scuole superiori. Come descrivere quei tempi ormai passati ? Userei la parola tragedia, niente di più appropriato vista la sua passione da sempre per le culture antiche. Quando entrava in aula il terrore si percepiva nell’aria, quasi si riuscisse a toccarlo. Il giorno delle interrogazioni, spesso a sorpresa, era uno dei più temuti. Io e le mie povere compagne assalite da un senso di panico puro, mentre lui scrutava con sarcasmo e freddezza il registro. Erano secondi di fiato sospeso in cui tutti guardavamo a testa china il banco per evitare di incrociare i suoi occhi ed ecco: “Si, dai, vieni tu alla lavagna”. E in quell’istante il mondo ti crollava addosso.
Poi cresci, diventi grande e sorridi ripensando a quei ricordi, anzi a volte vorresti riviverli perché in fondo non erano poi così terribili. Ricordo però la sua passione, la sua capacità di trasmettere un qualcosa di così antico come fosse ancora vivo e presente. Ecco, credo sia un po’ questo quello che ha lasciato personalmente a me, il distacco naturale che deve crearsi tra un alunno e un docente, ma al tempo stesso il saper rendere le ore di lezione delle ore piacevoli, divertenti, stimolanti e mai noiose.
Lui stesso sorridendo mi confida:
Solo ora posso pero’ confessarti che, nonostante tutto cio’ che di male si possa pensare, un insegnante fa l’insegnante perché ama il suo mestiere, esclusivamente per questo, e fa il massimo per preparare gli alunni a un mondo fuori che appare quanto mai ostile : l’insegnante accompagna. Cosa puo’ trasmettere al di la’ delle conoscenze e competenze richieste? Credo le proprie passioni, dei nuovi punti di vista, un entusiasmo sincero nei confronti della vita e percio’, inevitabilmente, parte di se’.
Il suo amore per le culture e le lingue antiche è percepibile in ogni sua frase. Infatti mi racconta come da piccolo, non essendo un bambino dei più socievoli, adorava trascorrere intere ore in cantina a leggere libri, riviste e tutto ciò che avesse a che fare con il mondo della lettura.
Mi dice ripensando ai vecchi tempi con malinconia e gioia al tempo stesso:
Cosi’ è nata la mia « patologia », diciamo, e non sono mai piu’ guarito. Questo amore per la parola poi ha preso un indirizzo netto verso le lettere classiche e, piu’ precisamente, per la poesia, ma io mi sento ancora come quel bambino, che afferra un libro come se potesse trovarci dentro un mistero prezioso.
Emanuele Pini oggi ha scritto un libro di poesie “Nella pancia di Dio”, ha un suo blog personale dove tratta i temi a lui più cari e partecipa a diverse serate letterarie. Insomma, quel bambino che curioso si avventurava in un mondo tutto nuovo, di strada ne ha fatta. Ed un po’, lo confesso, mi ci rivedo anche io. No, non con la presunzione di paragonarmi a lui, ma perché io stessa mi rivedo in quel bambino piccolo che non gioca con i coetanei ma preferisce un buon libro come amico.
Per lui, mi dice, ci è voluta costanza e determinazione, ma tutto ha avuto inizio quasi come fosse un gioco, un mettersi alla prova. Ha voluto semplicemente credere nelle sue doti e scrivere una raccolta di poesie surrealiste che in libreria ancora non aveva mai trovato. Poesie ricche di stravaganze, défaillance, incomprensioni e altrettanti pregi.
Certo, la poesia non è il mezzo di comunicazione piu’ appariscente oggi, eppure rimane uno dei piu’ profondi e quello che amo maggiormente. Alla fine posso dire che questo piccolo progetto, con presentazioni e spettacoli annessi, si è realizzato e ne vado fiero: a me piace, mi sono divertito e la ritengo una creazione artistica piu’ che valida.
Africa, tra povertà e sorrisi
Arriviamo ad oggi. Ho scoperto tramite i Social, che Emanuele, così mi dice possa chiamarlo ora, ha avuto un cambio repentino di vita prendendo un’ aspettativa di un anno dal Liceo dove insegna, l’Istituto Matilde di Canossa di Como. La sua meta? Come accennato prima, l’Africa. Il perché? Scopritelo leggendo l’intera intervista.
Se posso essere sincero, non è stata per nulla una scelta drastica o coraggiosa, quanto piuttosto la continuazione naturale di un cammino: anche se non avevo mai pensato a progetti in Africa, quasi per curiosita’ nel 2015 sono partito per circa un mese di volontariato nella missione di Bethlehem, nel sud dell’Uganda. Le forti emozioni vissute, il fondamentale supporto dell’associazione VOICA, l’aver trovato compagni di viaggio unici e arricchenti, il desiderio di conoscere ancora di più mi hanno spinto a tentare un’esperienza piu’ profonda: ho chiesto un anno di pausa dal lavoro ed eccomi qua. Un qualcosa di semplicemente naturale.
Ne parla con naturalezza, quasi per lui fosse stato un richiamo a cui non ha potuto e voluto dire di no. Un cammino che lo ha portato in luogo in cui la realtà che vive quotidianamente non ha nulla a che vedere con la nostra e nemmeno con quella che possiamo immaginare attraverso documentari e foto. Credo che solo vivendola un’esperienza la si possa comprendere a fondo.
Mi dice con umiltà e sincerità d’animo:
Qui all’ospedale di Ariwara, dopo un primo periodo di ambientamento, di animazione con i bambini e lavori di normale manutenzione, visto che non ho una preparazione medica specifica, ho fatto un po’ di tutto: ho lavorato alla farmacia, tra medicine e indicazioni posologiche, alla cassa, alle prese con cambi, conti e lingue esotiche da decifrare, all’amministrazione, ho cercato di dare una mano per il sistema informatico dell’ospedale, ma ho anche imparato a dare una mano agli infermieri nelle urgenze, a montare sedie ginecologiche o per esempio a scacciare vipere.
Il suo aiuto apparentemente insignificante prendere un significato del tutto inaspettato. Lui “sta”. Lui è presente, lui vive a stretto contatto con il dolore, con la povertà, con le malattie di quel popolo ed anche tra i sorrisi dei bambini del villaggio.
“Io sono qui, sto al vostro fianco.” E’ questo stare che per me da’ valore a quell’inutile nulla che faccio.
Il viaggio continua, perché le emozioni che ha da raccontarmi sono davvero tante, ognuna con una sua sfaccettatura differente. Quando faccio un’intervista mi viene sempre naturale chiedere cosa abbia lasciato quella determinata esperienza dentro di sé, quali sensazioni non dimenticherà mai una volta rientrato in Italia.
E la risposta ancora riesce a stupirmi per la naturalezza con cui esprime una realtà così difficile, dove però si è felici di quel poco che si ha.
La potenza del sole. Gli spazi sconfinati e liberi. I bambini sparsi nella polvere della strada e della brousse. Le donne che trasportano marmitte di acqua. Il dominio della natura, che orchestra ogni dettaglio coi suoi tempi. E’ un nugolo di sensazioni che di primo acchito sembrano banali, ma poi dicono molto altro, quel tanto altro che non si puo’ trasmettere. Aneddoti ce ne sarebbero davvero a migliaia, dalle chiacchiere con le anziane che trasportano sulla testa pesanti mucchi di legna per kilometri, ai canti tradizionali o ai viaggi per la foresta congolese, quello che ogni volta pero’ mi sorprende sono gli occhi teneri e forti delle madri, le mani logore dei padri, i piedi sporchi e callosi dei bambini: questo mi conquista dell’Africa.
Riesco a percepire dal suo racconto che non è tanto il caldo, o le malattie o ancora l’assenza di cibo il vero dramma di un popolo che spesso viene lasciato solo. Bambini che muoiono ogni giorno di malnutrizione, sfruttamenti, violenze. In quel contesto sono episodi abituali, che noi nemmeno immaginiamo.
A volte inizio a pensare che i poveri, gli oppressi, siano una delle poche ricchezze rimaste a questa umanita’.
E a chi vuole provare un’esperienza simile, in cui sperimentarsi dal vivo con questa realtà lui mi confessa che si può fare. Come?
Senza troppe paure e senza neanche improvvisare.
L’Africa è davvero un mondo diverso e, come spesso mi piace pensare, un mondo non primitivo, ma « primo », ovvero piu’ legato all’essenzialita’ e all’autenticita’ dell’esistenza. Proprio per cio’, questo diverso tessuto culturale e sociale ti smonta pezzo per pezzo ma poi ti ricostruisce con uno nuovo sguardo, in cui anche l’indigenza, la malattia, la morte acquisiscono nuovi significati. Per questo Africa.
Un’ultima domanda, mi nasce spontanea dal cuore. Chi e cosa porterà per sempre dentro di sé, come un frammento di vita che non si cancellerà mai?
La musica, il baccano caotico e quantomai vivo dei bus, delle strade, della gente, la loro fede, la loro intensita’, ma quello che faro’ ancor più’ fatica a lasciare qui saranno gli amici, le tante persone con cui ho condiviso molto: Madimi, Bolingo, Mauwa, Cadeau, … ma un’amicizia si potra’ mai raccontare?
Grazie Emanuele, con questo racconto di vita vera, vissuta appieno e senza grandi pretese sei riuscito a farci entrare nel vivo e nel cuore di un Paese di cui spesso non conosciamo la vera identità. Sei riuscito a farci sentire, anche se per poco, parte della quotidianità e della realtà che stai vivendo.
Grazie di cuore.
Beatrice